martedì 4 dicembre 2012

el baccalà

tanto io lo compro da Culata a Montegalda già fatto... e che se ciavi!

pubblico la ricetta della confraternita, si definiscono venerabili... beati loro....


Ingredienti per 12 persone:
Kg 1 di stoccafisso secco – gr. 250/300 di cipolle
1/2 litro di olio d’oliva extravergine
3 sarde sotto sale
½ litro di latte fresco – poca farina bianca
gr. 50 di formaggio grana grattugiato
un ciuffo di prezzemolo tritato
sale e pepe

Preparazione

Ammollare lo stoccafisso, già ben battuto, in acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore, per 2-3 giorni.
Aprire il pesce per lungo, togliere la lisca e tutte le spine. Tagliarlo a pezzi.
Affettare finemente le cipolle; rosolarle in un tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le sarde sotto sale, e tagliate a pezzetti; per ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato.
Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irrorati con il soffritto preparato, poi disporli uno accanto all’altro, in un tegame di cotto o alluminio oppure in una pirofila (sul cui fondo si sara’ versata, prima, qualche cucchiaiata di soffritto); ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo anche il latte, il grana grattugiato, il sale, il pepe.
Unire l’olio fino a ricoprire tutti i pezzi, livellandoli.
Cuocere a fuoco molto dolce per circa 4 ore e mezzo, muovendo ogni tanto il recipiente in senso rotatorio, senza mai mescolare.
Questa fase di cottura, in termine “vicentino” si chiama “pipare”.
Solamente l’esperienza saprà definire l’esatta cottura dello stoccafisso che, da esemplare ad esemplare, può differire di consistenza.
Il bacalà alla vicentina è ottimo anche dopo un riposo di 12/24 ore. Servire con polenta.

è stagione di putana




Le trippe alla vicentina



sabato 24 novembre 2012

...ancora sulla panzanese e le bistecche in genere...

se lo limitiamo ad una questione di gusti allora io non ci sto! forse il caffè senza zucchero viene preso per ragioni dietetiche? il pepe nella carbonara è un optional per chi lo gradisce?
allora! la carne della panzanese e della fiorentina vanno senza sale. bisogna gettare il cuore oltre l'ostacolo, esplorare un mondo sconosciuto, nonostante il gesto del salar la carne è scontato dalla notte dei tempi.  tentare bisogna, andare a tastoni nel buio di un sapore che non si capisce. pian piano se ne sente l'aroma, il taglio del sale è solo un ricordo. il profumo dell'arrostito penetra nel naso, il palato esplora i brandelli strappati dalla fauci del commensale meno avido. profumo e sapore esplodono e si realizza il principio: la ciccia alla toscana, alla brace per dirlo meglio, va senza sale.
l'altro stadio, se avete ancora desiderio di cose nuove, è senz'altro la spruzzatina di quel duro sangiovese, a volte chianti per i più esigenti, una spuzzatina che profuma la carne: come l'aceto 
abbraccia l'olio, il sangiovese taglia l'olocausto.
cari miei, non aspettatevi simili sensazioni con la carne del supermercato. ricerca, ricerca, 
approfondimento... 

bu


domenica 18 novembre 2012

Gemellaggio Pamojo

Gemellaggio con Giamberto e la confraternita del pamojo.

http://www.pamojo.it/Home.html

Un crudo straordinario

un paio d'articoli che raccontano lo straordinario prosciutto crudo affumicato che si produce a Cormons.




Il sogno di D’Osvaldo: un allevamento di suini per prosciutti di qualità superiore
Un tempo, quando la Cormons era veramente Cormons e i suoi mai smentiti sentimenti asburgici si affidavano alle centinaia di vagoni di susine in partenza per Vienna e le altre città dell’impero, anziché alla statua di Massimiliano I, tuttora dominante in piazza, questa cittadina del Friuli goriziano vantava un singolare primato. Da guinnes, se mai ci fosse già stato. I suoi macellai, salumieri, ristoratori sapevano infatti, da un intero prosciutto svolgere un’unica fetta, chilometrica. Oggi quest’abilità non c’è più. Scomparve – sussurrano i nostalgici – con l’arrivo degli italiani. Cormons vanta però lo stesso un primato prosciutti stico: essere sede di un gioellino firmato Lorenzo D’Osvaldo. Dei venticinque milioni di prosciutti crudi annualmente prodotti in Italia, il laboratorio D’Osvaldo ne sforna 1500 appena: una percentuale infinitesimale, uno zero virgola tanti zeri che la calcolatrice esita a prendere in considerazione. Ad assorbirli, basta qualche ristorante: come, giusto a Cormons, “Il giardinetto” degli Zoppolatti e il “Suban” di Trieste. I privati che riescono a farsi mettere in lista ne ottengono non più di uno all’anno e solo dopo aver giurato di non tenerlo in cantina, dove l’umidità toglie il profumo. Un autorevole quotidiano ne ha attribuiti quattro a Berlusconi, o meglio al suo cuoco introdotto nell’arte della diplomazia segreta. Ma la notizia è smentita (a parole, però, non anche a sorrisi) dall’interessato. Il quale sottolinea come a molti clienti in gara l’uno contro l’altro venga recapitato un trancio di prosciutto, non un esemplare intero. Figlio d’arte (il padre macellaio si esibiva anche lui con cinquecento pezzi) D’Osvaldo è un autentico coldiretto. Tutto deve essere fatto in famiglia: moglie suocero, due figli. Niente manodopera estranea, con quel che costa. Anche a rispettare questi precetti i prezzi potrebbero comunque raddoppiare, arrivare a tremila. In questo caso, però, tutta la forza di lavoro si concentrerebbe sul prosciuttificio: un conflitto con l’azienda agricola che ha ben ventisette ettari, di cui cinque a vigneto specializzato e dodici a bosco. Coltivatore di vecchio stampo, D’Osvaldo non si rassegna a puntare tutto su una carta sola. Se, per ironia della sorte, un anno i prosciutti dovessero venir male, a mandare avanti la famiglia (e i figli a scuola) basterebbero le bottiglie di Tocai, Sauvignon, Cabernet. Quanto al bosco, poi, è direttamente funzionale ai prosciutti. Da qui provengono le robinie, o acacie che dir si voglia, i ciliegi più o meno selvatici, l’alloro e le eventuali altre essenze necessarie all’affumicatura dei cosci. Gestire un’aziendina così complessa, di cui il prosciuttificio è solo il terminale, non è agevole senza salariati. E si capisce allora perché i prosciutti rimangono 1500 soltanto. Leggermente pressati in modo da assumere l’aspetto di un San Daniele, pepati oltre che salati con pepe nero indiano, i prosciutti sono affumicati sopra un camino (meglio sarebbe chiamarlo fogolar alla friulana) a dieci metri dalla fiamma, per due o quattro giorni a seconda del clima. Sul fuoco bolle una caldaia con finocchio, rosmarino, erba luisa, melissa. Niente resinose. Affumicatura non fredda ma tiepida, massimo venti gradi. In questa atmosfera religiosa la porta della stanza sacra dove il rito si compie, non si chiama più porta, bensì respiro. Pancetta e speck con aglio e coriandolo (nello speck però anche il ginepro) completano la collezione di D’Osvaldo. Il quale prosegue un sogno: allevare in proprio almeno un centinaio di maiali per nutrirli a pascolo, barbabietole di foraggio, zucche e pastoni. “Le cinquanta cosce che ancora oggi riesco a comprare da qualche contadino e non da un’industria allevatrice – sospira il Nostro –sono nettamente migliori. Certo in questo caso il prezzo del prosciutto salirebbe. Ma quando i prezzi da collocare sono 1500 questo non è un problema. Il problema è un altro, che tormenta l’intervistatore. Chi sono questi fortunati che, dopo esser stati selezionati e aver superato l’esame di abilitazione al prosciutto dosvaldiano, sono approdati al possesso di uno dei cinquanta contadini?

Travel – Anno 8 – Nr. ½ – Gennaio/Febbraio 2005 – Pag.175

Fiera dell'Est
Poco lontano, sopra Cormòns, c'è chi la propria fortuna l'ha trovata nei boschi. Varchi la soglia della grande casa di Lorenzo D'Osvaldo e t'avvolge un profumo dolce e selvatico a un tempo. D'Osvaldo è l'artista dei prosciutti leggermente affumicati: ha imparato a valorizzare quello che in realtà sarebbe un difetto del legno di ciliegio. “Ha un basso potere calorico. L'ideale per me: produce il fumo giusto, al di sotto dei venti gradi di temperatura”. Ai grossi ceppi di ciliegio vengono aggiunti fasci dall'oro e molte erbe aromatiche, inumidite con l'acqua. “Poi, la coscia affumicata viene portata nei locali di stagionatura. E ogni sera viene avvolta dall'aria che entra dalle finestre a monte”, spiega D'Osvaldo, mostrando l'anfiteatro della ripida collina dietro casa. Per dodici mesi devono maturare i prosciutti, perdendo almeno il 40 per cento del peso. E durante questa attesa hanno già un proprietario: quasi tutti i pezzi vengono prenotati di anno in anno.

LA PANZANESE

La bistecca panzanese

di Dario Cecchini
Sinceramente sono nate insieme la Toscana, la passione per la carne rossa e la poesia.
E sicuramente le migliori espressioni di queste radici sono la Bistecca Fiorentina e la Bistecca Panzanese .
Quest’ultima oggi meno nota, ma perlomeno di pari livello alla Fiorentina, è l’antica immancabile tagliata dei convivi rinascimentali.
La Bistecca Panzanese è il taglio monumentale del cuore della coscia di un manzo di selezione Cecchini. Confezionata sottovuoto e refrigerata si conserva per un mese.
Cecchini bacia una bistecca
Queste sono le regole per gustarla nel suo trionfo:
• toglierla dal frigo 10/12 ore prima della cottura
• cuocerla a brace ardente e griglia rasa, 5 minuti per lato, 15 ritta
• non usare strumenti metallici per girarla, solo palette di legno o le mani.
Servirla su un tagliere di legno tagliandola a tocchi.
Gli amanti del vero cibo divoreranno la Panzanese al naturale,
senza aggiungere niente, meditando e godendo profondamente.
Un filo d’olio extravergine e un pizzico di Profumo del Chianti sono le uniche trasgressioni concesse.
Accompagnatela con copioso vino rosso, Chianti Classico naturalmente.
Se, nonostante l’appetito, ve ne dovesse avanzare, la Bistecca Panzanese è ottima fredda preparata come un carpaccio.
Questo è quanto.
Questo non è solo cibo, è un’emozione, è mordere la vita.
NB: in buongustai ben predisposti può dare come effetti collaterali
sensazioni di estremo benessere profondo godimento fisico
stimolo a bere grandi vini rossi
risveglio degli amorosi sensi (con tutto quello che ne consegue)